marți, 29 noiembrie 2011

Alzheimer, formiche ed inno nazionale

                                   text publicat în antologia ”Cara Italia”, Edizioni Pragmata, Roma, Italia, nov. 2011


Era domenica verso sera, quando appena entrata nella casa loro si riunirono subito intorno a lei tre generazioni e cominciò la trattativa.


-Parla italiano? chiese la padrona di casa, Ludovica.
-Non tanto, ma capisce tutto, gli spiegò la donna che la portò , rumena come lei, sforzandosi per convincerli che la ragazza era un buon affare. E lei sorrise stupidamente, mostrando chiaramente dalle sue smorfie che capiva la lingua italiana pur non parlandola.
        - Imparerà veloce, vedrete, disse con vivacità la sua alleata.  Ha la mente aperta, conosce il francese, tedesco e inglese. Ha finito già una facoltà!
Sembrava, tuttavia, che esagerasse un po’, perché quella famiglia non cercava di assumere una poliglotta, anzi, ridussero il prezzo, perché non ci voleva una laureata per imparare come si cambia la biancheria sporca a un vecchio debole e come si utilizza un bidet.
E nemmeno lei protestò, sapendo di non parlare fluente in tutte quelle lingue, inoltre, che il terzo anno della facoltà lo ripetette, non avendo più soldi per finire di pagare le tasse universitarie. Questa „vergogna” la sapevano pochi e comunque non era il suo unico fallimento. Quasi nello stesso periodo, il suo ragazzo, che già prima di lei andò un paio di volte a visitare la Penisola, le lasciò dentro il corso di semantica, una nota: "Torno lì. Lí dove non ci sono corvi nel cielo e non si vedono formiche nell’erba. Sarei stupido a rimanere qui. Dovresti venire anche tu per vedere di persona com’è ... “.
In quel giorno si lamentò con la voce alta, bestemmió i corvi e le formiche e tutta la fauna italiana, che le incantò,  in assenza, l’ amante camminatore. 
Non sono passati nemmeno due mesi e arrivò qua a casa di Ludovica, per prendersi cura del suo marito. Quando entrò nella stanza di Tullio, al primo piano, prima notò i due letti stretti, come in un ospedale, allineati in parallelo con una distanza molto piccola tra di loro. Solo dopo osservò Tullio legato con cinghie di cuoio strette in diagonale sul petto, fissato bene in un carrello metallico come in un insettario. Si sporse verso di lui e gli disse chi era con qualche parola accuratamente imparata in precedenza:
-Buonasera, signor Tullio! Sono Andreea.
Non rispose, sembrò che nemmeno battesse le palpebre, eppure era così vicina alla sua guancia che avrebbe potuto vedere un paio di capelli neri cresciuti sotto la pelle.
- Sono Andreea, insistette, con voce più alta.
In quel momento si fece sentire Maura, una delle figlie del vecchio, con infradito di plastica ai piedi e con gli incisivi svasati. Sembró piuttosto irritata.
-Ha il morbo di Alzheimer, non capisce. In realtà, non sappiamo esattamente quanti sensi ha perso, non sappiamo nemmeno se ci sente.
- Ah, come Ronald Reagan, disse Andreea l’ esperta. E allora, l’inglese e il tedesco a cosa sarebbero serviti? Non fece in tempo terminare il pensiero che Maura esclamò seccamente:
- Ascolta, Andrea è un nome di ragazzo, come mai ti hanno chiamato così? Noi ti chiameremo Leila, decise, con massima facilità. 
Poi se ne andò a casa sua e Andreea e Ludovica sono rimaste insieme a curare il malatto. Gli hanno aperto l'imbracatura e nel momento successivo, questo cominciò ad urlare. Un grido sovrumano di bestia scatenata, prelungo e senza fine. Sembrava schizzato dalle viscere del vecchio, sembrava essere il  lutto dell’ ogni sinapsi neurali che gli si distrugeva. Era una cosa che Andreea non sentisse mai fino ad alloracosì straziante che sentí  fisicamente come i capelli gli si radrizzano come decinaia di spine sulla testa.
Sempre tranquilla, Ludovica lo fece andare nello stretto spazio rimasto disponibile tra i due letti, in modo che Tullio non riuscisse a svincolarsi tra di loro e allo stesso tempo per trovare supporto in qualsiasi momento si fosse voluto sedersi, nel caso in cui le fosse passato, attraverso la testa l’impulso di mettersi giù senza avvertirle.

Solo che lui era occupato a urlare violentemente, ad afferrare le lenzuola sopra il letto, a gonfiarle, battere con i cuscini ed i pugni il materasso con tanta rabbia, che Andreea si allontanò, per non essere colpita e quasi prese una gomitata sul naso.
- Sono solo dei riflessi, la calmò Ludovica. Fu falegname di mestiere. Ora sta prendendo le misure per i mobili e sta preparando il legno.
Allora, probabilmente non le bastava il materiale o non gli riuscivano bene i calcoli per questo era così nervoso, pensò Andreea.
- Con chi te la sei presa? Con Gaetano, quel briccone che non mette mai gli strumenti a posto? Non trovi sempre la pialla?, lo tirava su sua moglie. Leila, parla anche tu con lui, accarezzalo, perché sei così rigida? Prova a domarlo!
-Stai buono, Tullio! Stai bravo! Calmo, le disse. Fu ispirata, perché pensò da qualche tempo di imparare quelle parole, erano adatte a tranquillizzare sia le persone sia gli animali o i bambini e per tutta la notte glielo ripeteva, dandogli leggere pacche sulla spalla. Tuttavia, Tullio urlò in quel modo quasi una settimana. L’ unica volta che Ludovica venne a parlare anche con lei, era perché si annoiava e non per far sì che Andreea arricchisse il suo vocabolarioe quindi ebbe l'idea che a volte avrebbe potuto impiegarla anche in cucina. Avrebbe potuto chiamare alcuni parenti per invitarli ad una cena esotica, rumena, solo che doveva scoprire se ci fosse qualcosa di specifico e appetitoso nelle abitudini domestiche della casa della ragazza.
Provò a raccontarle delle sarmale, ma non seppe spiegarle molto bene cosa erano e come pronunciò la parola “maiale”, Ludovica tradusse liberamente in "colesterolo" e non apprezzò. Allora gli venne l'idea e, per essere sicura di essere capita meglio, s’incrociò le mani sul petto, chiuse gli occhi e disse umilmente:
- Morto. Grano. Coliva.
- Non sano, si impaurì Ludovica
- Si che sano, nazionale ed ecologico!
Con questo probabilmente perdette la sua l'amicizia, perché non è più tornata finché Tullio tacque. Ovvero dopo circa una settimana, perché l'Alzheimer non le ha dato pace fino a quando il vecchio batté l'ultimo chiodo nei mobili che progettò.
In quel pomeriggio Andreea ebbe le sue prime ore libere. Tremava. Voleva sentire il sole di nuovo dopo tanto tempo che stette immobilizzata in quella stanza come d'ospedale. Aveva una teoria da verificare, ma non aveva la pazienza di cercare i corvi. Poteva confonderli. Così andò fuori e si inginocchiò sul ciglio della strada.
Cardò meticolosamente l'erba per cercare le formiche liberatrici, che le mostrino la strada verso casa. Forse non trovò il posto giusto. Graffiò con le unghie nella terra rossiccia finché stordì, ma trovò un solo Aster, scarafaggio che non fu indicato nella nota lasciata dal suo ragazzo.
E forse avrebbe cercato ancora, però Maura la chiamò a casa:
- Vieni, Leila, veloceche Tullio si è svegliato! Così è questa malattia, il corpo di Tullio non segue più nessuna logica, non rispetta più nessuna regola, di dormire, di cenare o riposare...
Maura gli dava troppe spiegazioni e non era il suo modo di fare. La quasi strapazzò tra i due letti, affrettata, poiché non cadeva suo padre sull’intervallo.
- E guarda che mentre che tu ti sei riposata, noi abbiamo montato una videocamera, per non farti sentirti più sola...
- E come faccio a usarla? chiese Andreea immediatamente, desiderosa di imparare come funziona.
- Non é lavoro tuo, sogghignò Maura con i suoi denti fuori moda. Tu e Tullio sarete le stelle. Stiamo tutti giù nel salotto, festeggiamo i gemelli, compiono cinque anni. Stai vicino a papà, canta per lui, che si è svegliato un po’ annoiato.
Premette il tasto „on” sulla camera e le disse ancora:
-Cantagli, ok? Fallo divertire! Oggi è domenica e Tullio per la festa suonava la tuba in fanfara. 
 Andreea rimase sola con Tullio, per farle compagna. Si strinse vicino al vecchio, cercando un posto nello spazio tra i letti. Dal pianoterra si sentivano i tintinnii delle posate ed esclamazioni in dialetto napoletano. Il vecchio sembrava rigido come un tamburo maggiore e pensò che i parenti da sotto non vedessero l’ora di divertirsi a sue spese. Se Tullio ricordava che era domenica e che era il giorno in cui di solito suonava la tuba in fanfara, avrebbe potuto, di noia, cominciare a urlare e battere su tamburi immaginari nella sua testa.
 Doveva pensare veloce a qualcosa. Era completamente stonata e non aveva mai cantato per piacere. Si ricordò che in precedenza, fuori, non aveva trovato nessuna formica nell'erba per confutare la teoria scritta dal suo ragazzo e avere dunque un motivo per tornare a casa e comunque non aveva voglia che tutta la nazione italiana da giù le mangi la coliva. Sentì attraverso la luce rossa della camera decine di occhi fissi su di lei come in uno spettacolo. 
Si alzò solenne, vicina a Tullio, ispirò militarmente l’aria nel petto e cominciò a cantare con passione: 
-Riiiisveeegliaaatee ruuumeene!... 











Coliva - Dolce a base di grano bollito, noci e zucchero per fare l'elemosina per il riposo dell'anima di un morto



Sarmale - Pietanza a base di carne macinata mescolata con riso ed altri ingredienti avvoltati in verza o foglie di vite







”Risvegliate rumene”, autore Andrei Muresanil titolo dell’ inno nazionale rumeno ed il primo verso dello stesso

duminică, 17 aprilie 2011

Clandestin si Preventiv part I

Era pentru prima data cand ieseam afara din tara. Am studiat turismul, am lucrat in slujba privilegiatilor care isi permiteau sejururi scumpe, insa niciodata nu am fost macar in scopuri negustoresti alaturi, in Moldova sau, ceva mai departe, in bazarurile turcesti.


Am plecat din Romania cu doua zile inainte de a implini treizeci si cinci de ani, ceva cam tarziu pentru a incepe acum aventura marilor castiguri sau a marilor realizari profesionale.

Se pare insa ca nu destul de tarziu pentru a cunoaste si a incerca experiente noi.



Acum cinci ani treceam granita impreuna cu sotul meu, plecam stiind bine ca ne vom inhama la munca grea, dupa ce lasasem in urma o sala de calculatoare de care trasesem cu pasiune si cu disperarea de face un lucru la care ne pricepeam. Eu mai putin, era meseria sotului meu, insa il sustineam cu abnegatie. Un cartier intreg de copii saraci, intr-un oras mizer, ne-a sustinut mica afacere, pana cand nu am mai putut face fata presiunii financiare. Chiria, taxele, controalele, pirateria programelor folosite si, peste toate, degeraturile vinetii pe care le-am facut pe coapse in sala aceea fara incalzire, unde iarna ne intepeneau degetele de frig pe tastura, ne-au convins pana la urma ca nu acesta era drumul pe care trebuie sa mergem mai departe.


Poate ca nici aceasta, spre Italia tuturor viselor caldute, nu era calea cea mai potrivita, dar treceam vama pentru intaia oara, cu cateva pachete de tigari clandestine ascunse sub cracii pantalonilor destul de largi si cu inima cat un purice. Facusem socoteala sa le vindem la romanii de pe-acolo si astfel sa castigam plata a vreo doua zile de cazare. La vremea aceea, doar acele pachete de tigari, vreo treizeci de fiecare, erau clandestine. Peste putin, trei granite mai incolo, cuvantul acesta avea sa ma defineasca si pe mine, inaintea tuturor celorlalte insusiri pe care le aveam.

Am trecut dincolo. Inselasem autoritatile. Eram exaltata. Voiam sa ma simt libera, dar aveam o strangere de inima. As fi vrut sa-mi pot alege sa traiesc si sa muncesc in ce loc vreau, pentru cat timp doresc, sa port cu mine ce doream, fara sa fie nevoie sa ma furisez afara din tara mea. Patria mea trebuia sa fie peste tot. Nu inchisesem ochii de mai bine de douazeci si patru de ore, dar nu voiam sa pierd nimic din ceea ce vedeam. Autostrada lunga, aglomerata, multimea de indicatoare care iti furau ochii, o noapte nesfarsita si zece melodii care ne tineau trezi si care se repetau la nesfarsit ostoind singura caseta pe care o aveam, acestea sunt, pana la urma, amintirile care mi-au ramas dupa o mie de kilometri si ceva.

Austria – primul auto-grill la care am hotarat sa ne oprim. Se cheama grill, dar e un amplasament intre motel si restaurant sau mai degraba acestea doua impreuna, foarte popular pentru cei care calatoresc mult si care vor sa se odihneasca, sa se improspateze cateva minute, tir-isti, motociclisti, oameni in tranzit. Era prima ora clara a acelei dimineti racoroase, umede si aerul rece ne-a revigorat un pic. Insa ne-am gandit ca o cafea austriaca va face diferenta, ca intr-o reclama populara de consum.

Am intrat cu zambetul pe buze. Dintr-o timiditate provinciala, est-europeana, nu am privit prea mult in jur si am ales la repezeala si la intamplare cel mai apropiat loc de usa. Aveam emotii. Era prima oara cand aveam sa intru in contact cu un strain in tara sa si pentru intaia data cand, in acest voiaj, puteam sa-mi exersez germana invatata intensiv la scoala. Se intelege de la sine ca pentru a cere doua cafele nu-ti trebuie studii superioare, asa se face ca, atunci cand femeia blonda, cam labartata, (imi permit sa spun asta acum), de la bar, s-a apropiat de noi pentru a prelua comanda, mi-a fost destul de usor sa cer, cu nonsalanta studiata, doua cafele negre, simple. Mi-a raspuns prompt, m-a zapacit, a hurducat vreo doua fraze in nemteste si a ramas sa astepte. Pentru a intelege ceea ce mi-a zis nu-mi trebuia nici o licenta pe care as fi putut sa o obtin vreodata in viata mea. Poate eram naiva, idealista, nu stiu, am priceput doar ca voia sa ii platim pe loc, doar ca nu pricepeam motivul aspru invocat de ea.

Sotul meu, care nu stie o boaba nu numai de germana ba chiar nimic in nici o alta limba, insa e ceva mai pregatit decat mine pentru a infrunta cruzimea celorlalti, m-a privit lung si mi-a explicat cu amaraciune dar si cu stapanirea de sine a celui care se si astepta la asta, la ce se referise barmanita. Nu ca eu nu as fi inteles cuvantul spus de austriaca inainte de a primi banii de la noi, pentru ca suna la fel si in romaneste, dar poate ca fusesem atat de atinsa de semnificatie, ca mi s-a parut incredibil. Simtirea mea nu voia sa auda. Ceruse plata inainte si astepta intepenita ferm in fata noastra, accentuand cu un ranjet flasc pe buze, in toate limbile pamantului: ”Preventiv!”

Pentru ea, eram prea aproape de iesire, prea relaxati, prea dispusi de a pleca hoteste, fara a-i plati cei doi euro pentru cafelele mici cat un degetar, fusese prea des inselata de alti romani, nu stiu. Am fost atat de atinsa de proasta maniera in care si-a facut, pana la urma meseria, incat ajunsesem sa nu stiu ce sa fac: sa regret tot timpul acela in care am condus un hotel intreg in tara mea, stand in fata, la front-desk, primind zeci de turisti romani si straini zilnic, ocupandu-ma de toate dorintele lor cu o disponibilitate maxima, zambind pana cand ajunsesem sa-mi simt fizic ridurile in colturile ochilor, fara sa-mi permit macar o data sa gandesc ca trebuie sa cer ceva “preventiv” de la un client, mai mult, as fi fost in stare sa acopar din buzunarul propriu o eventuala paguba, sa regret tot timpul acela sau sa ma felicit ca am facut in tara mea o trebusoara pe care o austriaca “civilizata”, (dar pe care nu as fi schimbat nici macar una din cameristele care au lucrat cu mine) n-ar fi capabila sa faca vreodata.

Pentru ca mentalitatea si felul de a te comporta nu ti-l da cantitatea de schwaizer pe care ai mancat-o in copilarie. Pentru ca ospitalitatea e mai mult decat o meserie exersata intr-un local de tranzit, fie si international.

Si, in fine, nu am facut nici macar ceea ce orice turist strain ar fi facut, nemultumit fiind, in tara mea. Nu m-am dus la patron sa o reclam, nu i-am reprosat nimic nici ei. As fi putut primi o consumatie gratis. O alta cafea simpla, neagra. Nu ma mai interesa nici gustul. Impactul fusese mult prea dur.

Inca si mai dur era gandul ca, acasa la mine, pentru ca deja ma gandeam la intreaga mea tara ramasa in urma, ca si cum ar fi fost “acasa la mine”, am putut face lucruri frumoase, cu suflet, cu pricepere si cu pasiune, insa fara a fi rasplatiti si apreciati. Si atunci, ce altceva imi ramasese de facut decat sa plec la munca, cu o valiza dupa mine, cu o inima mare si naiva, de voiajor cu harta in mana, resimtind in plex perspectiva Vestului asupra noastra si inca sperand ca vom putea face ceva ca, acolo unde vom ajunge, sa ne gasim locul onest printre ceilalti.

Pentru ca deocamdata, in mai putin de douazeci si patru de ore de la plecare, invatasem deja o prima lectie universala, primele doua cuvinte cheie, italo-germane: “clandestin” si “preventiv”.